Nel corso dei secoli le pareti del portico e in generale dell’edificio sono andate rivestendosi di numerosi stemmi di famiglia dei Vicari che vi risiedettero, dal più antico del 1410 al più recente del 1769.
Si tratta di insegne scolpite su pietra o realizzate in terracotta invetriata, affisse sul muro o anche direttamente dipinte sulle pareti. Certamente, gli stemmi rimasti - circa duecentocinquanta, alcuni dei quali ormai rovinati o resi illeggibili dal trascorrere del tempo - rappresentano solo una modesta percentuale dei più di settecento ufficiali che si avvicendarono nell’incarico nel lungo periodo. Tuttavia, la loro molteplicità conferisce a tutt’oggi un’identità peculiare al palazzo e ne testimonia la continuità di dialogo con la Dominante nel lungo periodo, nel passaggio dal Comune medievale al granducato mediceo fino al dominio lorenese.
Per la maggioranza scolpiti in pietra, gli scudi di esecuzione più raffinata si attribuiscono ai membri della famiglia Pazzi, ai primi del Cinquecento, mentre al vicario Roberto di Francesco di Biagio Lioni (in carica dal 30 settembre 1463 al 30 marzo 1464) risale il più antico esemplare in terracotta invetriata.
Tra le famiglie di provenienza dei vicari si riconoscono alcune tra le più note casate fiorentine dell’aristocrazia tardo medievale e dell’età moderna: Albizzi, Alessandri, Altoviti, Arnolfi, Arrighi, Benvenuti, Biliotti, Buondelmonti, Cambi, Canigiani, Carducci, Castellani, Cavalcanti, Davanzati, Da Filicaia, Gianfigliazzi, Ginori, Giraldi, Giugni, Lapaccini, Machiavelli, Martelli, Mazzinghi, Nasi, Niccolini, Orlandini, Pandolfini, Pazzi, Peruzzi, Ricci, Ridolfi, Sacchetti, Salviati, Serragli, Serristori, Spini, Tedaldi, Ubaldini, Ugolini, Da Uzzano, Vespucci, Del Vigna, Zanobini e tante altre.
La prima figura a rivestire l’incarico di Vicario del Valdarno, come detto, fu Giovanni di Forese Salviati nel 1409, mentre l’ultima fu Donato Bartolomeo di Lorenzo Antonio di Francesco Salvetti, in carica dal 1 settembre 1771. Lo stemma più antico che troviamo appartiene a Niccolò Serragli, vicario nel semestre marzo-agosto del 1410.
(Il testo è tratto dalla guida del museo, a cura di Claudia Tripodi e Valentina Zucchi, Sagep, 2024)