Museo delle Terre Nuove | Sala 1 - Il Palazzo d'Arnolfo - Museo delle Terre Nuove
Nella sala sono illustrate le tre fasi di costruzione del Palazzo a partire dal 1299, anno in cui fu edificato.
museo valdarno, musei arezzo, museo arezzo, musei del valdarno, musei toscani, museo toscana, musei toscana, museo delle terre nuove, museo san giovanni valdarno, san giovanni valdarno, palazzo d'arnolfo, comune di san giovanni valdarno, musei rurali toscani, musei italiani
160
single,single-portfolio_page,postid-160,,select-theme-ver-2.3,wpb-js-composer js-comp-ver-4.5.3,vc_responsive
 

Sala 1

IL PALAZZO DI ARNOLFO

Nella sala sono illustrate le tre fasi di costruzione del Palazzo a partire dal 1299, anno in cui fu edificato.
Esso fu sede dell’amministrazione del potere, da parte del podestà prima e del vicario poi. La torre campanaria divenne un elemento urbanistico di riferimento, indispensabile a scandire il trascorrere delle ore di lavoro e la quotidianità dei cittadini.
Dopo essere stato sede degli uffici comunali nel 2013 divenne sede del Museo delle Terre Nuove.

Approfondimenti


LA TRADIZIONE DEL NOME

A seguito dei restauri del 1934, il palazzo è comunemente denominato dagli abitanti di San Giovanni “Palazzo di Arnolfo”.
L’assegnazione del progetto ad Arnolfo di Cambio, in verità, segue una tradizione storica risalente a Giorgio Vasari che nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, attribuì al celebre architetto il disegno dell’edificio e dell’intero abitato, asserendo che, proprio in seguito a questa impresa, Arnolfo di Cambio - originario di Colle Val d’Elsa - sarebbe stato insignito del privilegio della cittadinanza fiorentina:
«Volendo in questo mentre i Fiorentini murare in Valdarno di sopra, il castello di San Giovanni e Castelfranco, per commodo della città e delle vettovaglie, mediante i mercati, ne fece Arnolfo il disegno l’anno 1295, e sotisfece di maniera così in questa come aveva fatto nell’altre cose, che fu fatto cittadino fiorentino».
Per quanto l’ipotesi vasariana sia estremamente suggestiva, offrendo a Castel San Giovanni una totale filiazione fiorentina, gli storici sono concordi nel ritenere che non vi siano evidenze documentarie, mentre ciò che si può affermare con una certa sicurezza è che, se anch’egli avesse davvero progettato la pianta della nuova cittadina e il palazzo civico, difficilmente ne avrebbe potuto seguire personalmente le fasi di cantiere. Sappiamo infatti che Arnolfo venne a mancare tra il 1302 e il 1310, mentre il palazzo fu terminato diversi anni più tardi. In ogni caso l’edificio sorse tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo e, come tutti i palazzi civici dei centri di nuova fondazione, nacque con precise finalità politiche: funzioni rinnovate nel corso dei secoli, tanto che fino alla nascita del museo esso ospitava gli uffici comunali, rappresentando il centro nevralgico della vita di San Giovanni Valdarno. Ancora adesso l’edificio è a tutti gli effetti un simbolo parlante della città. A fronte di quella che si può definire come una pluri-secolare continuità di funzioni, è tuttavia necessario ricordare che l’attuale aspetto del palazzo non è quello delle origini; è piuttosto il risultato di diversi interventi, ristrutturazioni e ampliamenti che, come vedremo, si sono avvicendati nei secoli trasformandone profondamente l’assetto e le proporzioni, originariamente calibrati in rapporto alla struttura dell’impianto urbano.
(Il testo è tratto dalla guida del museo, a cura di Claudia Tripodi e Valentina Zucchi, Sagep, 2024)


GLI STEMMI DEL LOGGIATO

Nel corso dei secoli le pareti del portico e in generale dell’edificio sono andate rivestendosi di numerosi stemmi di famiglia dei Vicari che vi risiedettero, dal più antico del 1410 al più recente del 1769. Si tratta di insegne scolpite su pietra o realizzate in terracotta invetriata, affisse sul muro o anche direttamente dipinte sulle pareti. Certamente, gli stemmi rimasti - circa duecentocinquanta, alcuni dei quali ormai rovinati o resi illeggibili dal trascorrere del tempo - rappresentano solo una modesta percentuale dei più di settecento ufficiali che si avvicendarono nell’incarico nel lungo periodo. Tuttavia, la loro molteplicità conferisce a tutt’oggi un’identità peculiare al palazzo e ne testimonia la continuità di dialogo con la Dominante nel lungo periodo, nel passaggio dal Comune medievale al granducato mediceo fino al dominio lorenese.
Per la maggioranza scolpiti in pietra, gli scudi di esecuzione più raffinata si attribuiscono ai membri della famiglia Pazzi, ai primi del Cinquecento, mentre al vicario Roberto di Francesco di Biagio Lioni (in carica dal 30 settembre 1463 al 30 marzo 1464) risale il più antico esemplare in terracotta invetriata.
Tra le famiglie di provenienza dei vicari si riconoscono alcune tra le più note casate fiorentine dell’aristocrazia tardo medievale e dell’età moderna: Albizzi, Alessandri, Altoviti, Arnolfi, Arrighi, Benvenuti, Biliotti, Buondelmonti, Cambi, Canigiani, Carducci, Castellani, Cavalcanti, Davanzati, Da Filicaia, Gianfigliazzi, Ginori, Giraldi, Giugni, Lapaccini, Machiavelli, Martelli, Mazzinghi, Nasi, Niccolini, Orlandini, Pandolfini, Pazzi, Peruzzi, Ricci, Ridolfi, Sacchetti, Salviati, Serragli, Serristori, Spini, Tedaldi, Ubaldini, Ugolini, Da Uzzano, Vespucci, Del Vigna, Zanobini e tante altre.
La prima figura a rivestire l’incarico di Vicario del Valdarno, come detto, fu Giovanni di Forese Salviati nel 1409, mentre l’ultima fu Donato Bartolomeo di Lorenzo Antonio di Francesco Salvetti, in carica dal 1 settembre 1771. Lo stemma più antico che troviamo appartiene a Niccolò Serragli, vicario nel semestre marzo-agosto del 1410.
(Il testo è tratto dalla guida del museo, a cura di Claudia Tripodi e Valentina Zucchi, Sagep, 2024)